Parole in libertà Riflessioni

Un giorno, promesso, vi porterò a New York

28 Maggio 2019
New York foto vintage con le Torri Gemelle

Era la fine di marzo del ’92. Io avevo 16 anni, 16 anni e mezzo per la precisione. Era un sabato mattina di grande eccitazione per quello che sarebbe stato il mio primo volo intercontinentale. La meta: New York. Con mio padre che ci sarebbe dovuto restare due settimane per lavoro. Io potevo rimanere solo una settimana, la preside della scuola era stata di una rigidità incredibile. Ero in terza liceo, di più non poteva concedermi per evitare ripercussioni. Aveva detto così “ripercussioni”. Me lo ricordo come fosse ieri. Sedute nel suo studio. Io avvolta dai miei sogni americani, quelli alimentati da Saranno famosi (Beverly Hills non era ancora stato trasmesso in Italia). Lei avvinghiata alla sua impenetrabile rigidità.

La me di oggi, se si trovasse seduta su quella sedia in questo istante, innanzi tutto appoggerebbe la schiena allo schienale. Che già se ti poni sul chi va là, occupando solo la punta della seduta con un pezzo infinitesimale di natica, hai già perso in partenza. La me di oggi a quell’affermazione “ci saranno ripercussioni” risponderebbe “in che senso? La legge prevede 50 giorni di assenza per essere bocciata, io ne farei solo 12”. La me di allora invece aveva appena capito e assimilato in quel preciso istante il significato profondo della parola “compromesso”. Non mi aveva detto di no, solo di dimezzare il periodo. Avevo accettato. Vada per una settimana, otto giorni non di più.

Il mio primo volo intercontinentale mi ha fatta approdare a New York con la neve.

Davanti a un camino in Svizzera qualche anno fa mi sono letta un paio di libri della Bramati. Sono romanzi facili, leggeri. Da camino. C’è sempre New York, c’è sempre la neve, c’è sempre la componente sogno.

New York con la neve. Io I’ho vista davvero e non la dimenticherò mai. I grattacieli imbiancati. Una città che mi appariva così mastodontica, così assurdamente mia.

New York a 16 anni quando un viaggio ti segna

New York a 16 anni, ovvero quando un viaggio ti segna

Mi sentivo di casa a New York, pur non essendoci mai stata prima. Perché in fondo casa è dove stai bene davvero.

Mentre mio padre lavorava, io potevo uscire. Da sola.  A 16 anni. A New York. Senza Cellulare. Solo con una mappa, una manciata di dollari in tasca e il numero fisso dell’albergo. Con un inglese british da liceo linguistico rigidissimo, infarcito di phrasal verbs appresi durante un paio di vacanze studio all’estero, nulla più. Un inglese che però mi faceva sentire invincibile. Potevo comprarmi il gelato o l’hot dog, prendere le cartoline per le mie amiche e perfino i francobolli.

Non so se ora, a distanza di 27 anni, con tutta la globalizzazione che è passata sotto i ponti, si possa comprendere l’entità del sentimento che ho provato.  Ancora oggi, mentre scrivo queste frasi, provo un moto interiore che non so descrivervi. Un misto tra eccitazione e felicità estrema, rotonda, perfetta.

Le Torri Gemelle sullo sfondo

Ho un rimpianto. Aver scelto la Turchia e non la Siria come meta di un viaggio nel 2001. Ma almeno le Torri Gemelle le ho viste.

La mia vita, immagino come quella di tutti, è fatta di punti di svolta, giri di boa, voltate di pagina. La prima rivoluzione è stata nell’estate dell’88. La seconda  nel marzo del ’92. Quando addentavo un hot dog guardando la Statua della Libertà. Con la neve ancora nei prati e gli alberi in fiore. Perché in fondo il clima era già pazzo allora.

Salendo sull’aereo di ritorno da New York, affidata alla custodia dell’hostess perché ero minorenne, ricordo di aver pensato che viaggiare era quello che volevo fare più di ogni altra cosa al mondo. Per provare quella sensazione di farfalle nello stomaco.

New York per me è stato come un innamoramento adolescenziale. Del resto ero adolescente per davvero, ero ferrata sull’argomento. New York per me è stata come il primo bacio, quello in cui la testa ti gira, sei ubriaca senza aver bevuto un goccio di vino e gli occhi ti brillano. New York per me è stata una delle esperienze in assoluto più belle della mia vita. Sarà per sempre la città che mi ha aperto nuove porte, nuove possibilità. Forse non sarei nemmeno qui a scrivervi di viaggi se non fossi stata a New York a 16 anni.

Il mondo è cambiato. Andare a New York al giorno d’oggi è come andare a Barcellona, non vedo, sinceramente, grandi differenze. Costo del biglietto aereo, Esta e fuso orario a parte. Ci sono millemila voli che ci arrivano, millemila compagnie aeree che ci volano. E allora perché non ci sono ancora tornata? Perché non ho ancora preso un volo intercontinentale con i bambini? Perché è questa la domanda che molti mi fanno privatamente.

Perché?

Ci sono diverse motivazioni. Quando il figlio era uno solo, beh lo sanno tutti no? Fino ai 2 anni i bambini non pagano il biglietto aereo, perché non approfittarne? In realtà il primogenito è rimasto figlio unico solo per 9 mesi. Perché ai suoi 9 mesi io ero già incinta. Lui gattonava e io vomitavo pesantemente, stavo malissimo.  Maternità anticipata, contrazioni, non mi reggevo in piedi. L’ultimo dei miei pensieri era un intercontinentale. E poi sono iniziate le otiti, quelle pesanti, quelle con i timpani perforati. Ho immaginato di prenotare voli, ringraziando il cielo di non averlo fatto. Avrei dovuto disdire tutto. Mi sono trovata a fare i conti con la realtà.

Dovevo per forza (per forza, per forza) fermarmi? Potevo continuare a viaggiare senza prendere un aereo? Oppure prenotando solo un corto raggio, in modo da limitare i danni? La risposta è stata affermativa e così ho fatto. Accanto a questa prima motivazione a cui se n’è aggiunta una seconda, molto pratica – ovvero l’impossibilità, per motivi lavorativi, di avere più di due settimane di ferie di fila insieme –  se n’è aggiunta una terza, a mio avviso la più importante.

Che ha parecchio a che fare con quella me 16enne a New York, ce l’ho sempre bene impressa nel cervello e nel cuore. Non vi ho detto una cosa, fondamentale. Io mio padre non lo sopportavo. Non lo reggevo proprio. Sono andata a New York con lui perché era un’occasione imperdibile, non perché bramassi di stare in sua compagnia. Manco per sogno. Eppure la ricordo come una settimana tutto sommato piacevole. In cui non abbiamo mai discusso né litigato, un’impresa titanica. Una sorta di sospensione dalla realtà. Credo per entrambi.

I nostri figli al momento ci seguono ovunque. Non hanno mai borbottato, nemmeno di fronte a esperienze poco adatte all’infanzia come indossare intimo termico e tute da sci e uscire a meno 20 gradi alla nove di sera per ammirare l’aurora boreale. Certo, era l’aurora boreale. Ma il desiderio di vederla era soprattutto di noi grandi. La loro vita non è cambiata per averla vista. La mia un pochino sì. Non si sono mai lamentati per aver visitato musei o per aver fatto viaggi notevoli – paesaggisticamente parlando – ma poco family friendly nel senso più comune del termine. Perché del mio concetto di baby friendly vi avevo già parlato qui. Finora viaggiare è stato semplice ma le cose stanno già cambiando.

E la nostra strategia ora potrebbe rivelarsi utile. Perché sì, non ho mai preso un volo intercontinentale con i miei figli anche (o forse soprattutto) per strategia. Una strategia ben precisa.

Credo nella gradualità delle cose. Se ti porto a vedere la grande barriera corallina australiana a 10 anni, a 12 mi manderai a quel paese se andiamo in Sardegna. Mio figlio lo scorso anno aveva il trip della Muraglia Cinese. Non l’ho portato in Cina bensì in Northumberland. A un’età in cui guardando il Vallo di Adriano che si snoda a mo’ di serpente poteva ancora emozionarsi. Perché se hai visto la Muraglia Cinese a 6 anni, al Vallo di Adriano a 12 probabilmente sbuffi e fai uno sbadiglio. Mi sono lasciata l’effetto wow, quello oggettivo, grandioso, strabiliante per l’età in cui stiamo per entrare.  Il Grand Canyon ti smuove anche a 15 anni quando sei in viaggio con mamma e papà e “con sti due vecchi che rompimento di maroni”. Finché dura, le ocre di Roussillon sono un ottimo surrogato.

Itinerario in Provenza

Sono fermamente convinta che ci debba essere anche una sorta di educazione al viaggio, di attesa per qualcosa che oggettivamente sarà più meraviglioso di quanto visto finora. Perché nell’epoca in cui tutto è fantasmagorico, spettacolare, ci sono oggettivamente pezzi di mondo che lo sono più di altri. Imparare ad aspettare, a desiderare le cose. Un dovere educativo che io sento molto.

Anche perché dall’aver visitato un luogo a vantarsene, a quest’età ma purtroppo non solo, è un attimo. Voglio che i miei figli abbiano ben in mente che sono privilegiati e fortunati ad aver visto i luoghi che abbiamo visitato. Io l’aurora boreale l’ho vista per la prima volta a 41 anni, la piccola di casa a 4. Non voglio che la diano per scontata. Voglio che capiscano che dietro un click su “prenota” ci sono scelte ben precise, decisioni, rinunce. Perché no, i biglietti aerei non cadono dal cielo.

Nel tempo la nostra strategia si è rivelata in realtà molto più proficua di quanto pensassi, devo riconoscerlo. Ci ha portati a esplorare un po’ di più il Vecchio Continente. A scovare luoghi di una bellezza unica e incredibile in paesi che, ingenuamente, dicevo di conoscere perché c’ero stata già diverse volte. Come la Francia, la Svizzera o l’Inghilterra. Ho scovato borghi da fiaba, angolini unici, scogliere meravigliose, fari nascosti in mezzo alle dune, paesaggi che pensavo potessero esistere solo nella Cabot Cove di Jessica Fletcher (che in realtà non è nel Maine ma a Mendocino in California, dettaglio) e invece sono a un tiro di schioppo.

Sono andata in profondità, ho viaggiato meno lontano ma meglio.

Ho voluto far conoscere  l’Europa in cui viviamo ai miei figli scoprendo che, in realtà, non la conoscevo veramente bene nemmeno io. Figlia dell’Erasmus, del progetto Leonardo, dell’unione, del passaggio dalla lira all’euro, del “siamo un unico grande paese”, del Wochenende Ticket che per  35 marchi in 5 dalla Germania ci portava ogni weekend in un posto diverso dell’Europa.

Per New York c’è sempre tempo. Il momento in cui ci andremo si sta sempre più avvicinando. E quando sarà, ne sono sicura, non ci saranno sbuffi. Nemmeno a 16 anni.

p.s. questo post non vuole essere, ovviamente, una critica a chi con bambini piccoli va solo ed esclusivamente in capo al mondo. Ognuno fa quello che gli pare, quando gli pare e come gli pare. Mi sembra di averlo già espresso più volte. Però una cosa ci tengo a precisarla. Per viaggiare rinunciamo a tante cose che noi riteniamo superflue – una casa più grande, un armadio nuovo, i lampadari nelle camere, le tende, vestiti nuovi a ogni stagione – ma non all’indispensabile. C’è chi ha mezzi solo per l’indispensabile. E quando leggo che “viaggiare apre la mente, i bambini che viaggiano saranno cittadini del mondo, eccetera eccetera eccetera“, provo un pizzico di amarezza. Perché accanto a chi dice di non avere i soldi per viaggiare e compra le borse da 500 euro, non ci siamo solo noi che sposiamo la filosofia “meno cose più esperienze”. C’è chi davvero quei soldi non li ha. Dire “solo chi viaggia potrà crescere cittadino del mondo” è di una chiusura mentale che non ha eguali. Non serve andare chissà dove per avere una mente aperta. I miei figli hanno appreso più cose su come va il mondo in casa, nella nostra quotidianità, negli ambienti che frequentiamo. Dai gesti che compiamo, dalle parole che diciamo, dalle scelte che facciamo, dalle persone che frequentano abitualmente casa nostra.

Viaggiare è indubbiamente un dono prezioso – per me imprescindibile e irrinunciabile – che ho scelto di fare ai miei bambini … ma l’apertura mentale è altro. Molto altro.

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7 Comments

  • Reply Famiglia Cuoco 30 Maggio 2019 at 2:43 pm

    Bè…perché no? Cioè quello che dici non è mica sbagliato, anzi!
    Io per evitare l’effetto “scontato” ho invece preso l’abitudine di chiedere quello che è piaciuto e quello che non è piaciuto, (facendoci poi un blog!!), loro ripercorrono la giornata, si rendono conto di quello che gli piace sul serio, ascoltano quello che piace o meno agli altri e non lasciano correre semplicemente delle immagini davanti agli occhi…trovo che sia un magnifico esercizio per tutti, per loro, ma anche per noi adulti che ci caliamo meglio nella loro visione delle cose.
    Le sensazioni che hai descritto…Roma, 18 anni. Il primo viaggio sola e la voglia di condividerlo pazzescamente con qualcuno che avesse la mia stessa passione per il conoscere cose nuove. E l’ho trovato!

    • Reply letiziadorinzi 13 Giugno 2019 at 5:28 pm

      Anche noi facevamo questo gioco quand’erano più piccoli. Poi abbiamo smesso, non so nemmeno perché. Mi hai dato lo spunto per ricominciare. In effetti si impara molto dalle loro risposte e si calibra tutto anche in base alle loro esigenze. Belle le tue sensazioni di Roma. Alla fine sono ricordi che rimangono indelebili. COm’è giusto che sia. Un abbraccio

  • Reply silvia 19 Settembre 2019 at 4:57 pm

    Cara Letizia,
    quello che racconti in questo articolo è molto più di un viaggio, riguarda la vita e il garbo con cui provare a viverla. Viaggiare è una passione e il primo viaggio oltreoceano non si scorda mai, hai proprio ragione, e deve arrivare al momento giusto, neanche un attimo prima per poterselo gustare dopo averlo giustamente atteso, pensato, desiderato . Anche io e mio marito siamo d’accordo nel voler lasciare ai nostri figli delle mete tutte loro da conquistarsi con l’età, in nostra compagnia o con quella di altre persone. Ma nel frattempo quante mete incredibili, quante scoperte a poche ore da casa, così democraticamente alla portata di tutti. Quasi tutti, come dici tu. E allora a chi non può andare consiglio di leggere i tuoi articoli che di sicuro faranno sognare anche loro, così come fanno sognare me.

    • Reply letiziadorinzi 21 Settembre 2019 at 4:59 am

      Grazie Silvia, bellissimo il tuo commento. Sì hai ragione è uno spaccato di vita più che un viaggio. Un viaggio nel viaggio se così si può definire. Credo fermamente nelle parole che ho scritto e la tendenza a definire cittadini del mondo solo chi viaggia mi irrita davvero, oggi più che mai. Anch’io mi nutro di sogni, leggendo viaggi altrui che so di non potermi permettere in questo momento, ma forse mai ah ah ah. IL segreto sta tutto lì, nella parola sogno. Perché se manca il sogno manca tutto. Un abbraccio grande

  • Reply Francesca 12 Dicembre 2022 at 7:25 pm

    Ho riletto con gran piacere questo tuo articolo (che lessi già nel 2019), oggi come allora lo sento tanto mio?
    Anche noi speriamo nel 2023 x NY?

  • Reply Noemi 6 Dicembre 2023 at 10:45 am

    Ciao Letizia. ho letto ora questo tuo articolo e mi trovi davvero d’accordo. Diciamo che io mi sono “ravveduta” perché ho portato mia figlia alle Maldive a 2 anni e a New York a 3 anni e ora ho una novenne che non ricorda nulla dei viaggi fatti “da piccola” e che mi chiede: “Perché ci siamo andati quando io ero troppo piccola per ricordare?”. Negli ultimi anni abbiamo scoperto il camper, la montagna … viaggi più slow che lei sta sicuramente apprezzando. Solo ora capisco che per far crescere i bambini “cittadini del mondo” bisogna educarli ed abituarli tutti i giorni ad esserlo all’interno della famiglia. Un abbraccio

    • Reply letiziadorinzi 9 Dicembre 2023 at 4:54 pm

      Ciao Noemi che bello questo tuo commento. Io penso (o per lo meno voglio sperarlo) che tutto faccia bagaglio. Quindi sono sicura che anche New York e le Maldive di cui non ricorda nulla, abbiano lasciato il segno nel profondo. E poi avete voi i ricordi di lei da piccola in quei luoghi meravigliosi, e quelli valgono oro. Anch’io ho lo stesso problema con la LApponia finlandese, ci siamo stati che la piccola di casa aveva 3 anni e non ricorda praticamente nulla. Allo stesso tempo ho capito che davvero per educarli cittadini del mondo basta la gita fuori porta accompagnata da apertura mentale, l’ingrediente fondamentale. Ti mando un abbraccio

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