Parole in libertà Riflessioni

Di quella volta che ho avuto paura, un po’ come adesso

13 Marzo 2020
Viaggi che salvano la vita

Non so voi come siate messi. Io piuttosto male. Leggo di idilli casalinghi, lavoretti fatti in casa, partite ai giochi di società tutti riuniti intorno a un tavolo. Bene, qui l’idillio ce lo scordiamo proprio. Tre figli da gestire con compiti e lezioni online sono un incubo. Non mi viene in mente un’altra parola. Inizio con tutta la buona volontà, poi ho un picco esplosivo verso il primo pomeriggio in cui mi escono dalla bocca frasi che Montessori tappati le orecchie.

L’aspetto positivo è che sto rifacendo le scuole medie. Avendo la connessione buona praticamente solo in sala, sento spiegazioni su ogni genere di argomento. Mi incanto ad ascoltare professoresse illuminate, come vorrei che fossero tutte così. Ma il carisma non è esattamente una dote che si improvvisa, lo ritrovi nello starter pack di cui sei dotato.

Un altro aspetto positivo è vedere come i tuoi figli interagiscono con compagni e professori. Quante volte abbiamo detto “Vorrei essere una mosca?”. Ecco mi sento esattamente così, quella mosca che spia e scruta dall’alto. Una mosca che ha modo di capire certe dinamiche, vede le cose da un’altra prospettiva. Questa la possiamo reputare una fortuna immensa, una prima volta assoluta che ci saremmo volentieri risparmiati. Però ormai siamo in ballo cerchiamo di coglierne il meglio. Tutto sommato la nostra generazione ha avuto il privilegio di assistere a un cambio di  millennio, roba da pochi. Sono quei momenti che segnano la storia e esserci, beh, fa curriculum, mettiamola così.

Condisco i momenti di ansia con i film di Checco Zalone perché ridere ci fa bene. Faccio fatica anche a leggere. Durante il giorno sono occupata a far da assistente scolastica e la sera crollo. Non ho praticamente momenti per me, salvo l’alba in cui mi alzo e cerco di lavorare.

Sto facendo incetta di serie Netflix, sono felice di essermi lasciata The Crown per i momenti bui, la sto praticamente divorando.

E, scavando nel mio intimo, in realtà ho scoperto risorse che mi aiutano parecchio. Perché per me questa situazione  non è nuova. Si tratta di una sorta di dejà-vu quindi so a che risorse aggrapparmi. Checco Zalone, appunto. Il panico che qualcuno di caro muoia mi accompagna dall’infanzia ma questo accomuna un po’ tutti.  L’ansia di essere contagiata invece non tutti l’hanno provata. A me riporta indietro di otto anni.

Vi racconto di quando un viaggio mi ha salvato la vita. Più o meno.

Incinta della terzogenita, ho voglia di un ultimo viaggio in quattro perché un nuovo elemento richiede sempre equilibri da ristabilire, dinamiche da tarare. Desidero godermi l’idillio della famiglia Mulino Bianco da quattro, prenotazioni semplici, auto da noleggiare di dimensioni normali. Partiamo per la Cornovaglia per un on the road lento. Non tanto per le esigenze dei bambini quanto per le mie. Una pancia ingombrante, le contrazioni dopo tante ore di macchina, la necessità di fermarmi a fare pipì praticamente ogni mezz’ora scandiscono il ritmo di quello che per me rimane uno dei viaggi in famiglia più belli. Per la valenza emotiva che gli ho attribuito  – sono sentimentale lo so – e per i paesaggi oggettivamente da urlo.

Prime due settimane di maggio, tempo sempre sereno, spiagge meravigliose, coste frastagliate, esperienze uniche in fattoria, nessun figlio malato. La perfezione praticamente.

Torno a casa, porto i bambini all’asilo e la maestra mi dice “Ci sono stati tantissimi casi di quinta malattia, niente di che comunque, ad alcuni non viene nemmeno la febbre”.

Esco dall’asilo e un primo dubbio mi assale. Googlo immediatamente “Quinta malattia in gravidanza” e mi escono scenari spaventosi. Chiamo il ginecologo aspettandomi di essere rincuorata. Non è così. Mi parla di malformazioni gravi a cuore e polmone, di non sopravvivenza in alcuni casi eccetera eccetera. Mi sale il panico, mi tremano le gambe. Gli chiedo “cosa devo fare?”. Innanzi tutto cercare di sapere se ho già contratto la malattia da bambina. Chiedo ai miei genitori ma non si ricordano minimamente. Vado in ospedale e faccio subito gli esami del sangue. L’esito mi sarebbe arrivato dopo tre settimane. Tre settimane.

Il ginecologo mi tranquillizza, è una malattia che quasi tutti fanno nella prima infanzia. Quel “quasi” non basta per impedirmi di tornare indietro di dieci mesi. A quando ho perso un bambino in seguito al fuoco di Sant’Antonio. Mi sembra di rivivere un incubo. Con la differenza che sono al sesto mese di gravidanza, non basterebbe un raschiamento, dovrei partorire. I pensieri corrono veloci e, chissà perché, vertono sempre al tragico, un po’ come adesso. Ho l’ordine tassativo di tenere i bambini a casa dall’asilo e in isolamento per evitare contagi.

Ogni giorno infilo termometri e li scruto per notare un rossore insolito sulle guance. La quinta malattia nei bambini a volte si manifesta solo così, con due guance rosse alla Heidi.

I figli dei miei amici si sono ammalati mentre eravamo via ma per sicurezza non frequento nessuno. Mi isolo nel mio bozzolo. Facciamo gite fuori porta oltre confine, come se un confine potesse bastare a tenere lontano un virus. Non è così, ma ci si illude. In fondo ci siamo illusi anche questa volta.

Nel frattempo i casi di quinta malattia calano a dimostrazione che il picco dell’infezione si è manifestato proprio nelle due settimane in cui noi eravamo in viaggio. Ringrazio Dio, il Karma, la vita, la mia Wanderlust. E pure Ryan Air per avermi offerto una tariffa a meno di 70 euro in quattro a inizio maggio che mi ha spinto a cliccare “acquista” sapendo che, se per motivi di salute non fossimo partiti, ci avrei smenato tutto sommato solo 70 euro.

Com’è andata a finire lo potete dedurre dal nome di questo blog. Gli esami mi hanno dato l’esito sperato, avevo già contratto la malattia. Abbiamo messo fine alle tre settimane di quarantena e ho portato a termine la gravidanza senza ulteriori angosce.

Sono fuori da tempo dal loop di pappe e pannolini ma quello che sta accadendo ora mi ha riportato con un treno ad alta velocità a otto anni fa. In questo momento penso proprio a quelle mamme in gravidanza che sicuramente sono assalite da angosce che noi nemmeno immaginiamo. O che si trovano a partorire in questo scenario ospedaliero da guerra mondiale.

Ragazze, per quello che vale, vi penso tanto. E vi abbraccio virtualmente sperando per tutti noi, ma per voi soprattutto, che questa situazione finisca presto.

p.s. ovviamente non è stato il viaggio a salvarmi la vita ma i miei anticorpi. Ma la storia che racconterò ai miei nipoti un giorno sarà di come un viaggio a volte può cambiare il destino delle cose. E di come, altre volte, solo stando a casa ci si può salvare la pelle. Tipo ora.

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